Topi cittadini in campagna
La famiglia Topi della nobile stirpe dei Rodicacio, composta dal topo, dalla topa, e da otto topolini, abitavano nella casa di un pizzicagnolo, framezzo alla roba più appetitosa.
Per dir la verità, era il pizzicagnolo che abitava nella casa dei topi, perché i padroni erano questi, non lui: padroni della bottega, del laboratorio, della cucina, del solaio, della cantina, di tutto.
Che cuccagna, in quella casa! Formaggio, salame, lardo, olio, burro, marmellata, ogni cosa a volontà e senza tessera! C’erano poi tutte le cosidette “comodità moderne”: ascensore, gatto, frigorifero, trappola, bagno, scopa, luce elettrica, cane, pasta topicida, telefono, ecc.
La famiglia non usciva mai di casa. Andar dove, diceva la topa, se in casa si sta tanto bene? Chi sta bene non si muove. E infatti non si muoveva che in casi di forza maggiore, come sarebbe a dire il gatto, il cane, la scopa, ecc. I topolini però non si adattavano a quella vita di clausura, e rodevano, insieme col lardo e il cacio, il freno. Uno fuggì di casa, e si rifugiò in una galleria d’arte, dove c’erano dei quadri ad olio che valevano dei milioni.
Chissà che olio fino sarà! – pensava.
Appena fu dentro, rimase come incantato a veder quelle sale dorate, quei pavimenti lucidi, quei tappeti, quei lampadari, quei quadri, quelle statue; ma per quanto levasse il musetto e fiutasse l’aria non sentiva alcun odore d’olio.
Come mai? Girò tutta la notte, e la fame cominciava a farsi sentire. Provò a rosicchiare una tela, ma la sputò subito, tanto sapeva di muffa, leccò un marmo ma non sapeva di nulla.
Ah! Che sciocco sono stato, a lasciare la salumeria, per venire in una pinacoteca! Là c’era del formaggio, del prosciutto, e qui non ci sono che dei quadri di Raffaello e delle statue di
Michelangelo! Bella roba! Il giorno dopo, un custode della galleria, trovò il topolino, morto di fame, tra le pieghe di un busto d’oro massiccio.
Un giorno i topolini dissero alla mamma: Come! Tutti i bambini se ne vanno in campagna, e noi soli dobbiamo restar qui, in questa cantina, con questo caldo? Ah, no! Anche noi abbiamo bisogno di un po’ d’aria buona, un po’ di sole, un po’ di libertà! Guarda che code sottili!
Le vedo, ragazzi miei; ma qui un pezzo di cacio o di lardo, in una maniera o nell’altra, l’abbiamo; mentre se andiamo in un altro posto, chissà se ne troveremo.
Ne trovano gli altri, ne troveremo anche noi, oh bella!
I topolini tanto insistettero, tanto pregarono, che il topo e la topa promisero loro che per il Ferragosto li avrebbero condotti a fare una scampagnata. Dopo una settimana di preparativi, il giorno fissato, partirono. Immaginate i salti dei topolini! Dopo essersi rimpinzati in una forma, non stavano più nella pelle per la contentezza …. e dal formaggio.Lasciarono la casa prima dell’alba, chiotti, chiotti, che nessuno se ne avvide, nemmeno quell’accidente di gatto, e si avviarono verso la stazione. Il topo aveva portato con se una carta unta e bisunta.
I topolini, quando videro, da lontano, la tettoia della stazione, la presero per una grossa trappola, e volevano tornare indietro, alla larga! Ma il babbo, ridendo, li rassicurò che non si trattava dell’infernale ordigno. Alla stazione i ferrovieri li presero a scopate.
Bella maniera di trattare i viaggiatori! – gridavano il topo e la topa – reclameremo alla direzione delle ferrovie! Volevano prendere l’autocorriera, ma anche lì il bigliettario, invece di distribuire i biglietti, distribuì fior di scopate. I topi decisero, allora, di andare a piedi.
Vi sentite, disse il topo, di fare una lunga camminata? Altro! Ci sentiamo proprio in forma... di parmigiano. Be’, allora andiamo.
Quando furono in campagna, i topolini cominciarono a far disperare i loro cari genitori, scappando di qua e di là, in cerca di roba da mangiare. Che corse nei prati! Che capriole! Che salti! Che scorpacciate di frutta! Che partite di caccia ai grilli e alle lucertole! Erano proprio felici: non un gatto, non una trappola, non una scopa; e poi quante belle cose che non avevano mai viste! La prima volta che sentirono una gallina fare coccodé, andarono in visibilio: non avevano mai sentito un canto così armonioso, nemmeno alla radio; quando poi videro un maiale, rimasero a bocca aperta, come incantati. Il pensiero di tutti volò alla salumeria natia, dove trascorrevano tante ore beate. La coda a cavatappi, poi, suscitò la più viva ammirazione: che eleganza di curve, che grazia di forme! Un topolino, goloso, volle assaggiarne un pezzettino, ma il maiale, facendo schioccare la coda come un frustino, lo sbattè lontano. Alla vista di un bue, fuggirono, spaventati, credendo che fosse un gattone con le corna. Erano già parecchie ore che camminavano, e si sentivano estenuati dalla fatica e dal caldo; per colmo di sventura, smarrirono la strada.
Ma non avevano la carta topografica?
Si, ma il topo, per isbaglio aveva portato con se la carta topografica dell’antica Roma!
Gira e rigira, trovarono, finalmente, un’osteria, all’insegna del Belvedere, e vi entrarono. Era la tana di un topo campagnolo.
Del Belvedere? Mamma, ma se è così buia che, che non si vede niente!
Zitti!
Padrone! Gridò il topo.
Comandi!
Vogliamo mangiare alla carta.
Ma questa non è una biblioteca, è un’osteria!
Volevo dire la lista delle vivande.
Qui non ci sono liste; ad ogni modo, che cosa desiderate?
Portateci del prosciutto, della mortadella, del tonno, del formaggio di varie qualità, del burro e del lardo. Mi raccomandò che la mortadella sia proprio di Bologna, perché la mia signora non mangia che quella. Per i topolini portateci anche un po’ di marmellata e di pasticcio di fegato d’oca.
Mi rincresce tanto, ma non ho che delle radici e dei vermi.
Delle radici e dei vermi?
Cari signori, qui non siamo in città, siamo in campagna e bisogna adattarsi.
Non c’è nemmeno la trota con la maionese?
Nossignori.
Nemmeno dello zampone di Modena?
Nossignori.
Nemmeno del vitello tonnato con i capperi?
Nossignori.
Nemmeno del tacchino con i tartufi?
Nossignori
E dei tortellini di Bologna, ne avete?
Nossignori.
Che paese di lupi! Basta, dal momento che non c’è altro, portateci pure le radici e i vermi; abbiamo una fame!
Ah!, sospirava la topa, la mia bella casa, piena di ogni grazia di Dio! Io lo sapevo che sarebbe capitato così: che non avremmo trovato nulla da mangiare.
Vuoi stare zitta? Le gridò il topo.
Accomodatevi pure; disse l’oste, le radici, come vedete, pendono dal soffitto; i vermi, poi, basta raspare un po’ la terra e ne trovate quanti ne volete. Mentre mangiavano, venne l’oste, con una faccia da far inacidire il latte, a lamentarsi che I topolini gli avevano mangiato una ciabatta: mi meraviglio, disse, che della gente per bene, come sembrate, faccia di queste cose. Bella educazione che date ai figli!
C’è poco da meravigliarsi, caro amico; rispose il topo, ci sarebbe da meravigliarsi, invece, se fosse stata la ciabatta a mangiare i topolini! L’oste se ne andò, brontolando: e pensare che con quella ciabatta, bollita, avrei preparato chissà che brodo di vitello! Divorarono, come lupi, le radici e i vermi che trovarono, però, assai meno saporiti della lingua affumicata e del prosciutto. Trovarono, invece assai saporito il conto, nel quale quel birbante di oste aveva messo anche la ciabatta, sotto il nome di “scarpetta di camoscio”,e la veduta che si godeva dal belvedere! La scossa che ricevettero, il topo e la topa, dal totale dell’addizione fu talmente forte che perdettero di colpo la coda. Usciti dall’osteria, i gitanti si sdraiarono, stretti l’uno all’altro sotto un castagno, per fare un pisolino; ma con quelli accidenti di mosche, di mosconi, di cicale, di grilli, di zanzare e di formiche, non ci fu verso di chiudere un occhio. E che caldo!
Ah! Sospirava la topa, il mio bel letto, fra le morbide trine della pizzicagnola!
Vuoi stare zitta? Le gridò il topo.
Ad un tratto, ciac! Cadde dall’albero un grosso riccio, che, per fortuna, non li colpì; se no, con quelle spine: addio nobile famiglia Topi! Un topolino, però ci rimise la coda. E tre!
Fuggirono in un prato. Mentre i topolini correvano dietro alle farfalle, videro una buca, profonda ed oscura in fondo alla quale brillavano due luci.
Guarda, guarda, un cinematografo! Dissero le care bestiole, e vi entrarono, malgrado la
mamma gridasse loro di no. Era la tana di una bestia. Che bestia fosse non si sa; ma il fatto si è che, poco dopo, i topolini uscirono dalla buca tutti spauriti ed arruffati; uno, poi ci aveva lasciato la coda. E quattro! Mentre si nascondevano in una siepe, apparve in cielo una macchina che roteava silenziosa.
Guarda, guarda un aeroplano! Gridarono i topolini. Era, invece un falco, che si avventò arditamente su uno, lo ghermì, e lo portò per aria; ma il sorcetto, riuscito a sfuggirgli, saltò giù, lasciando, però, la coda nel becco del rapace. E cinque! Si avviarono tutti verso un fiume, per fare un bel bagno. Il caldo cresceva sempre! Mentre diguazzavano allegramente nell’acqua, videro una cosa, lunga e nera, che serpeggiava fra le erbe della riva. Guarda, guarda un treno! Gridarono i topolini. Era invece una biscia. Il rettile ne addentò uno; ma questi riuscì a scappare, lasciandogli, per ricordo la coda. E sei! Usciti dall’acqua, si sdraiarono sull’erba, per asciugarsi. Passò, da lontano un cacciatore che gli prese, si vede, per uccelli, e tirò loro una tremenda schioppettata. Naturalmente non gli colse; se no addio forme di cacio e falde di lardo! Arrivò a destinazione soltanto un pallino, che staccò netta la coda ad un altro topo. E sette!
Prima di fare ritorno in città, andarono a trovare una famiglia di topi campagnoli, che, per Via di cugini e cognati, venivano ad essere un po’ loro parenti. Essi credevano che abitassero in una villa, come avevano scritto una volta, e invece, abitavano, anche loro in una tana! Ci fu un piccolo ricevimento, in cui vennero serviti dei vermi e delle radici. Ancora! Si lasciarono con la promessa che l’anno venturo, per il ferragosto, i topi campagnoli sarebbero calati in città, a restituire la visita. Cominciava ad imbrunire. I topi misero la coda fra le gambe (ma se non l’avevano più) e s’avviarono verso la città. Passando davanti ad una casa, giunse ai loro orecchi un canto lugubre.
Senti, senti la radio! Gridarono i topolini. Era, invece, una civetta, appollaiata su un tetto, che balzò sull’unico topolino rimasto con la coda, e con una beccata gliela strappò.
E otto! Arrivarono a casa, stanchi, sudati, impolverati, affamati, squattrinati e scodati.
Il resto pazienza; ma senza coda! Perché bisogna sapere che la coda è l’ornamento principale del topo. Mentre da noi si dice: che bella testa! Che bella fronte! Fra i topi, invece si dice che bella coda!
Un topo può aver divorato tutti i libri di una biblioteca, ma se non ha una bella coda, credetelo pure, non è tenuto in nessuna considerazione.
Ah, diceva la topa, si vede proprio che in questa scampagnata il diavolo ci ha messo la coda!
E noi, rispondevano i topolini, ce l’abbiamo rimessa!
Adesso la famigliola ha ripreso a condurre la solita vita ritirata nelle mortadelle e nelle forme di cacio, perché senza coda, si vergognano a farsi vedere.
Quando il gatto è lontano, i topi ballano; alle feste intervengono tutti i topi del vicinato con grande disperazione del salumiere. Non è prescritto l’abito a coda.