La mascherina
In casa del signor cavaliere, c’era quel giorno, un gran ricevimento.
Il papà di Nandino, ch’era stato invitato, aveva portato con sè il ragazzo, che si era messo un vestito da maschera a foggia di mantello, con cappuccio che gli nascondeva il viso.
La padrona di casa prese la mascherina per mano, e la condusse in una sala, dove c’era una lunghissima tavola, imbandita di ogni ben di Dio: paste, frittelle, torroni, cioccolatini, pasticci, torte, marroni canditi, gelati, cioccolata, liquori.
- Guarda quante paste! – gli disse la signora – mangiane fin che vuoi. Il ragazzo non se lo fece dire due volte: prese un africano, popi una pasta sfoglia, poim una frittella, poi una fetta di torta, poi una meringa, poi un tortello, poi un piattino di panna, poi una festa di pasticcio, e poi una bella tazza di cioccolata bollente, nella quale inzuppò non so quanti biscottini! Che mangiata!
- Che santa Lucia ti conservi la vista! – gli dicevano i domestici, che assistevano, sbalorditi, a quella strage.
La mascherina, dopo essersi riempite le tasche di marroni canditi, disparve. Misericordia!
Due o tre minuti dopo, eccola ricomparire, fresca come una rosa, avvicinarsi piano piano alla tavola, e, dopo essersi guardata attorno con sospetto, rinnovare la scena di prima: tre pasticcini, una mezza dozzina di frittelle, un piatto di zuppa inglese, una sfogliata, un croccante, un gelato, una tazza di cioccolata, con una fetta di panettone, un bicchierino di liquore dolce, e via di corsa. I domestici rimasero come istupiditi – sta bene che ragazzi e polli, come dice il proverbio, non siano mai satolli, ma quello non è un ragazzo, è un lupo!-
Mentre facevano questi ragionamenti, - angioli santi proteggeteci! – la mascherina ritornò a fare una strage di africani con dentro lo zabaione. Quanti ne mangiò? Mah! I domestici contarono fino a venti, poi perdettero ogni cognizione di aritmetica. La mascherina fece un bell’inchino, e se ne andò, sgranocchiando un panforte.
I domestici non avevano ancora riacquistata la favella, che la mascherina rientrò per la quarta volta, nella sala, girò sulla tavola uno sguardo, per scegliere il punto d’attacco, e poi si gettò su delle sfogliatine, appena uscite dal forno, e si mise a divorarle a due alla volta.
Vuotato il vassoio, i domestici ne portarono un altro, la mascherina spolverò anche quello, e se andò.
La scena si ripetè una ventina di volte, e ogni volta era una strage. I domestici, impensieriti, andarono dalla signora.
Signora, non ci sono più dolci!
Come! Ma se mezz’ora fa, ce n’era una tavola piena!
Spazzato via tutto!
Ma chi è stato?
Quel bambino.
Possibile?
In quel mentre entrò la mascherina.
Eccolo!
Ma questo – esclamò la signora – non è il bambino che ho condotto io!
Era infatti uno spilungone col domino che gli arrivava alle ginocchia. Lo fermarono e gli domandarono chi era. Il ragazzo si confuse, balbettò qualche parola, poi alzò il cappuccio, e spiattellò ogni cosa: giù nell’autorimessa, c’erano, invitati da Nandino, tutti i suoi compagni di scuola, una trentina, che si mettevano, a turno, il suo vestito da maschera, per andar a fare una scorpacciata di paste.